Faranno un deserto e lo chiameranno legalità

La storia comincia da non molto lontano, per me. Appena tre-quattro anni fa. E coincide con l’arrivo di un dirigente scolastico nella scuola che frequentava mia figlia. Cominciò a parlare di legalità. Di Stato, incarnato dl funzionario che – a suo dire – lo rappresentava, cioè il dirigente stesso. La prima volta che sentii questo discorso, feci un salto sulla sedia, perché per me certe cose, la rappresentanza, l’inclusione, la promozione della cultura e del sapere erano come un verbo indiscutibile. E la scuola ne era il caposaldo. In più vedevo davanti a me ragazzi intelligenti, spiritosi, sensibili e attenti. Occupavano regolarmente ogni anno la scuola e venivano accusati di goliardismo, di irresponsabilità, di ignoranza politica. Nessuno era in grado di cogliere la natura di quella aspirazione, e cioè cambiare le cose. Nessuno considera mai il paese in cui viviamo, dominato dalla preponderanza dei legami familiari e dalle relazioni di conoscenza, che prendono forma nella atavica “raccomandazione”. Dove le mafie gestiscono una montagna di soldi, frutto del traffico di droga, di persone, di cose. Dove la politica stessa incita all’odio razziale, all’esclusione, ai respingimenti. Dove i politici si fanno fotografare accanto a degli persone che hanno ucciso più o meno consapevolmente il ladro che gli è entrato in casa. Dove una colossale ed epocale migrazione, frutto di colonialismi dapprima nazionalisti, poi economici e finanziari, costringe masse enormi di persone a fuggire dal proprio paese. Dove la separazione tra ricchi e poveri sembra insanabile e la violenza è esplosa incontenibile.

Ebbene questi ragazzi si affacciano alla maturità, nell’immobilismo, nella disoccupazione alle stelle ed imparano a contestare tutto ciò. Ma non va bene. Non hanno voglia di studiare, né di rispondere alle domande di quiz improbabili che dovrebbero misurare il loro sapere. Come se il sapere si misurasse a peso.

E in ultimo, questo attacco insensato si è rivolto infine contro la cultura. A Roma, una delibera, che forse era stata pensata per liberare certi appartamenti del Centro Storico affittati a canoni irrisori, viene usata contro spazi di cultura, e contro l’edilizia abitativa d’emergenza e sociale.

Gli appartamenti dei palazzi del Parco Leonardo vicino all’aeroporto di Fiumicino giacciono invenduti.

La cultura dei centri sociali è sotto attacco, quando i centri sociali, cioè l’autoaggregazione, è spesso stata l’unica risposta possibile di valorizzazione culturale di spazi altrimenti abbandonati. Spazi che sono diventati – nell’illegalità – presidi contro la malavita. Una illegalità passiva contro una illegalità attiva e consapevole, quella di mafia capitale e dell’estrema destra avventurista e imborghesita dai soldi.  Oltre all’illegalità che conosciamo c’è una illegalità sconosciuta: quella dei mercati generali all’Ostiense, a Roma, ad esempio

Ogni giorno passo davanti ai mercati generali dell’Ostiense . Non se ne è fatto nulla. Nulla. Da decenni sono là in una ristrutturazione lenta e generalizzata, cioè non adeguata a nessuno scopo, perché i progetti sono diversi e contrastanti, e cambiano nel tempo.

Si pensi alla illegalità del Mattatoio di Testaccio.  Alla sua balcanizzazione , alla parziale ristrutturazione della zona dell’India. Uno dei manufatti è abitato dai senza tetto, le tende e gli stracci si affacciano tra le rovine. I senza tetto sono quelli che vagano nella città rovistando nei cassonetti. Le loro carrozzine, le carrozzine da bambini che usano per trasportare gli oggetti, sono parcheggiate davanti all’ex fabbrica.

E di situazioni così ce ne sono tante. A poca distanza i palazzinari impazzano. Sono riusciti a sfrattare una multisala dell’Uci Cinemas Marconi per trasformare lo spazio in edilizia abitativa di lusso. A pochi metri dai dannati della terra. Vuol dire che questi palazzinari sono potenti. Ma anche strambi. Sul ponte di ferro, accanto al gazometro stanno costruendo appartamenti di lusso, che affacciano su un panorama impareggiabile. Ebbene il progetto prevede un complesso con terrazzini incassati e porte finestre. Una reticenza all’affaccio che storicamente appartiene anche al passato. Pensate alle case che si affacciano sul lungotevere, all’altezza di Porta Portese che guardano il fiume senza guardarlo.

Infine in questo elenco di doglianze caotico e affastellato che è frutto di rabbia incontenibile, parliamo di attori: invitati anche dalle istituzioni a lavorare gratis. Addirittura il Ministro della Cultura ha promosso una iniziativa  chiedendo agli attori di lavorare gratis. Per tre anni.

Mi viene da ricordare un articolo di Pier Paolo Pasolini, pubblicato sul Corriere della sera il 14 novembre 1974: Io so.

Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

E’ il nostro destino: sapere, ma non saper fare nulla contro.

Sapere che stanno facendo un deserto e lo chiamano legalità.

 

Nell’immagine : Eduardo T. Basualdo, Teoria, 2013, Frieze Frame with PSM, Berlin, London, UK